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Arcieri del Verbano, del Cusio, dell'Ossola e della Valgrande

   Feb 05

ORIONE IL CACCIATORE

Orione il cacciatore.

Orione il cacciatore.

Orione era un gigantesco arciere cacciatore, secondo i Latini nato nientemeno che dalla pipì di tre Dei, e cioè Giove, Nettuno e Mercurio. Perché questi tre si siano appartati per farla insieme non è dato di sapere. Ma è certo che anche al tempo di Dei ed Eroi farla in compagnia serviva ad evitare il sospetto di essere o ladro o spia.

Ovidio ci racconta che i tre passeggiavano per le amene colline della Beozia, una regione greca dove all’epoca ne succedevano di tutti i colori. Viene la sera e sono ancora in giro, e così un contadino di nome Ireo, come era nella tradizione ellenica, offre ospitalità ai tre viandanti dandogli da bere e da mangiare quanto aveva di meglio. Gli Dei, ammirati da tanta generosità che contrastava con l’immensa povertà del tugurio dove Ireo abitava, si manifestarono e il pover’uomo rimase inizialmente sconvolto. Ma subito dopo corse fuori e immolò un toro per i suoi ospiti. Così Giove lo volle ricompensare dicendo che avrebbe soddisfatto qualsiasi suo desiderio. Il contadino, che era vedovo e senza figli e aveva giurato alla moglie che non avrebbe avuto altre donne, chiese di poter avere un figlio per accompagnare la sua incipiente vecchiaia. Il padre degli Dei gli ordina di portargli la pelle del toro appena immolato, e insieme a suo fratello e a suo figlio sparge su di essa la sua orina. Finita la funzione, Mercurio piega la pelle e la fa seppellire nell’orto, mentre Giove dice a Ireo di ritirarla dopo nove mesi. Ireo ubbidì e dopo nove mesi trovò avvolto nella pelle un bambino che allevò come suo figlio e al quale diede il nome di Urion, da urina, successivamente modificato in Orion.

Secondo le fonti elleniche, invece, Orione era un normalissimo gigante nato in maniera altrettanto normale da Poseidone e Euriale, figlia di Minosse re di Creta, e dunque sorella del famigerato Minotauro; da non confondere con la più famosa Gorgone sorella di Medusa. Il suo nome viene da Oreos, oggi Oreoi, antica città situata sulla costa nord-occidentale dell’isola di Evia, ai piedi del monte Telethrion: il gigante sarebbe infatti nato in una grotta prossima a quel braccio di mare tra Evia e il Pilion, a pochi chilometri da una sterminata pineta sacra ad Artemide, ancora oggi considerata un luogo da rispettare con devozione.

In entrambe le tradizioni Orione, in pochissimo tempo, divenne un gigante di straordinaria bellezza. Una persona molto disponibile, tanto da avere una notevole parte nell’aiutare i suoi conterranei evioti, che furono tra i primi colonizzatori dell’Italia del Sud, a edificare Zancle (Messina), e a rinforzarne con enormi quantità di massi e terra le banchine del porto, realizzando così la laguna di Capo Peloro, sulla quale eresse un tempio dedicato a suo padre Poseidone. Riconoscenti, i Messinesi del XVI secolo gli dedicarono una fontana che ancora resiste nella bella Piazza del Duomo di quella città. Invece su Capo Peloro, che gli antichi chiamavano Cariddi, svetta oggi un altissimo pilone elettrico, che fa il paio con quello altrettanto brutto sulla costa calabra, ossia in corrispondenza di Scilla.

Orione cieco cerca il sole (Nicolas Poussin 1658, MOMA New York)

Orione cieco cerca il sole (Nicolas Poussin 1658, MOMA New York)

Oltre che forte e buono, Orione era anche un bel ragazzo, e amava molto andare a caccia con arco e frecce. Si narra che avesse un arco d’oro e una grande mazza in bronzo. Cacciatore dagli occhi celesti, usciva di notte accompagnato dal suo fedele segugio, Sirio, in cerca di prede. Era tanto affascinante che, accecato per gelosia dal suo padre putativo Enopio, impietosì Eos, l’Aurora, a tal punto che la dea gli fece riacquistare la vista e se lo sposò. La dea Artemide, che con lui condivideva molte battute di caccia, se ne invaghì perdutamente e, messa da parte la sua proverbiale castità, gli fece delle esplicite offerte. Orione declinò con garbo, vantando doti di sposo fedele e incorruttibile. Ma quando scoprì che il giovanotto frequentava un po’ troppo assiduamente le sette figlie di Atlante e Pleione, altrimenti note come Pleiadi, si inviperì a morte, e mandò come killer vendicativo il suo fido servo Scorpione. Egli, dopo aver atteso il ritorno di Orione dalla solita battuta notturna di caccia, approfittò del suo sonno per iniettargli il mortale veleno. Sirio cercò inutilmente di difendere il suo padrone, ma anche lui ci lasciò le penne.

Quando Zeus scoprì il misfatto si arrabbiò moltissimo, e fulminò Scorpione. Placata l’ira, decise di far ascendere al cielo padrone e cane e da allora la costellazione di Orione splende nell’Emisfero Boreale. Lì vicino luccica il Cane Maggiore, con la stella Sirio, la più lucente. La costellazione dello Scorpione, invece, sorge esattamente quando quella di Orione tramonta, affinché il mostro non possa più insidiare il grande cacciatore.

Artemide vicino al cadavere di Orione (Daniel Seiter 1658, Louvre Parigi)

Artemide vicino al cadavere di Orione (Daniel Seiter 1658, Louvre Parigi)

Un’altra versione mette al centro della perfida gelosia il dio Apollo, a cui non andava a genio che la sorella Artemide passasse le sue notti a vagabondare con il gigante cacciatore e arciere. Così, la sfidò in una gara di abilità invitandola a centrare un bersaglio mobile appena visibile sull’orizzonte. La ragazza fece centro, ma il bersaglio era il suo amato Orione, e il fedele Sirio gli giaceva accanto, ululando dal dispiacere. Zeus ne ha pietà, e pone entrambi nel firmamento.

Sia i Greci che i Latini sono tributari di una leggenda ancora più antica. Nella civiltà sumerica, i sacerdoti-astronomi chiamavano Orione Uru an-na “la luce del cielo”. In questa costellazione vedevano il re di Uruk, Gilgamesh, nell’atto di scontrarsi contro Gud an-na “il toro del cielo”. Nel mito Gilgamesh rifiutò come sposa la dea Ishtar (corrispondente ad Afrodite); Isthar andò a chiedere vendetta al padre An, il dio del cielo, il quale inviò un toro a gettare scompiglio nel regno. Gilgamesh, aiutato dal fedele compagno Enkidu, riuscì ad ucciderlo e scagliò i pezzi in cielo contro la dea. Ed ecco nata appunto la costellazione del Toro.

Immaginato nell’atto di inseguire le Pleiadi o di attaccare con il suo arco il vicino Toro, ciò che accumuna tutti i miti è la figura di cacciatore-guerriero che gli viene attribuita. Si può ipotizzare che tutto ciò sia dovuto alla conformazione stellare che tende ad assomigliare, con la dovuta immaginazione, ad una figura umana avente nel braccio sinistro un arco.

LA COSTELLAZIONE DI ORIONE

La costellazione è ben osservabile nelle latitudini italiane in direzione sud, tra lo zenith e l’orizzonte nel periodo invernale. La sua particolare posizione rende questa costellazione un buon mezzo di orientamento: seguendo infatti una linea immaginaria avente come punto di inizio la stella centrale della cintura (Alnilam) e passante al centro della testa (Meissa), si arriva ad individuare la Stella Polare. I nomi delle stelle ed il loro significato possono far intuire cosa gli antichi vedessero in questa costellazione: Meissa è la “splendente, colei che marcia con fierezza”, la stella doppia che corrisponde alla testa di Orione; Betelgeuse è la “spalla”; Bellatrix è la “guerriera” (unico nome in latino); Alnitak è “la faretra”; Alnilam è “il filo di perle”; Mintaka è “la cintura”; Saiph è “la spada del gigante”; Rigel è “il piede del cacciatore”.

La costellazione di Orione.

La costellazione di Orione.

LA GROTTA DELL’ARCIERE

Orione sembra aver rivestito un importante ruolo non solo nella mitologia e nella religione ma anche in importanti siti e complessi archeologici. L’esempio più famoso è la piana di Giza, dove sono situate le tre grandi piramidi di Cheope, Chefren e Micerino. Negli anni ’80 lo studioso Robert Bauval notò un’assoluta corrispondenza tra la disposizione delle tre stelle della cintura di Orione rispetto alla via Lattea, e le tre piramidi rispetto al fiume Nilo. Ma anche nel sito neolitico di Thornborough nello Yorkshire c’è una corrispondenza che ha dell’incredibile: oltre infatti ad essere stato probabilmente un formidabile osservatorio astronomico più antico di mille anni rispetto alla costruzione delle piramidi, i suoi tre henges (un henge è una struttura circolare che comprende un fossato o delle pietre con uno o più ingressi) sembrano rappresentare perfettamente le tre stelle della cintura di Orione.

In Italia, secondo le ipotesi di Niccolò Bisconti, c’è una situazione che potrebbe dar spunto a possibili interpretazioni. La Grotta dell’Arciere, conosciuta anche come “Grotta del Tesoro”, è un sito protostorico situato nel comune di Abbadia San Salvatore, sul versante senese del Monte Amiata. Il sito, ubicato a 1.050 metri s.l.m., si trova sulla strada che dal paese conduce alla vetta della montagna. Poco distante dalla grotta è presente una sorgente d’acqua naturale, parte della quale sfocia a poche centinaia di metri più in basso nella località “Fonte Magria”, già nota per la presenza di un antico insediamento medievale.

Nel 1970 vi venne scoperto un dipinto collocato nell’ambiente più nascosto della grotta. Nonostante l’importanza della scoperta (si tratta infatti dell’unica pittura rupestre della media età del Bronzo in Toscana), la prima segnalazione a stampa avvenne solo nel 1982. Il dipinto rupestre misura 32,5 centimetri di altezza, e raffigura un individuo che tiene nel braccio destro un arco con una freccia incoccata. La posizione risulta essere statica e ciò è marcato anche dalla posizione dei piedi, dipinti con le punte opposte. L’altro braccio appare speculare al primo, si presenta arcuato nella parte dell’avambraccio come a simboleggiare l’azione del rilascio. Sulla testa sembra esservi un copricapo rituale a tre punte. Per quanto riguarda il corpo, presenta una certa precisione anatomica, con restringimento dei fianchi e spalle arrotondate.

Riproduzione delle pitture rupestri di Porto Badisco.

Riproduzione delle pitture rupestri di Porto Badisco.

La rappresentazione dell’arco ricorda le figure di Porto Badisco (Salento, Puglia), ma l’Arciere dell’Amiata sembra differenziarsi profondamente da quelli di Porto Badisco per il suo carattere statico e per la posizione di non di tiro e per il copricapo. Elementi che potrebbero attribuire alla figura una valenza simbolica, probabilmente la rappresentazione di una divinità. Tra le ipotesi su quale divinità in particolare rappresentasse l’Arciere, una serie di analogie potrebbero aprire una interpretazione del dipinto in connessione con la costellazione di Orione.

Ad un primo impatto visivo, l’Arciere risulta essere stato dipinto al contrario rispetto a come Orione è collocato nel cielo, come un riflesso o una proiezione delle stelle sulla terra. La spiegazione può essere ricercata nella peculiare posizione della costellazione a Sud: l’arco infatti indica l’Ovest mentre il braccio l’Est. Osservando la figura del monte Amiata si nota immediatamente il suo marcato allineamento con i punti cardinali, anche se in maniera riflessa rispetto alla costellazione: l’arco indica l’Ovest ed il braccio semi-piegato l’Est.

Inoltre, poiché la punta della freccia è rivolta verso l’interno della grotta, sembra verosimile che l’arciere possa rappresentare simbolicamente non solo il riflesso di Orione sulla terra, ma anche l’alba ed il tramonto del sole: in corrispondenza dell’arco/ovest il buio dell’interno, del braccio/est la luce dell’imboccatura.

Corrispondenze tra l'Arciere amiatino e la costellazione di Orione.

Corrispondenze tra l’Arciere amiatino e la costellazione di Orione.

(fonte: L’arciere amiatino e la costellazione di Orione – Una possibile interpretazione, Niccolò Bisconti 2012)